1986; l’incontro con Gin Parodi.

In quell’anno stavo completando la ristrutturazione di una vecchia casetta colonica nella quale io e Fabio Calvi saremmo andati poi ad abitare. Eravamo giovani e in procinto di sposarci.

Così orgogliosi del primo lavoro reale della nostra immatura carriera pensammo che la facciata della nostra casetta si meritasse un minimo di decorazione dipinta, come tradizione avrebbe voluto. Eravamo totalmente inesperti in materia e ben presto scoprimmo di non essere i soli; nessuno sapeva dove scovare un decoratore. Ciò nonostante poco tempo prima qualcuno aveva dipinto una bellissima e ricca facciata in via Sestri. Mi informai e venni in possesso del numero di telefono di un anziano pittore di Pegli. Lo chiamai, un po’ intimorita e un po’ imbarazzata perché ero consapevole del fatto che stavo chiedendo ad un esimio pittore di occuparsi di “quattro righe dipinte” sui muri di una casetta qualunque, ma feci la telefonata. Dall’altra parte del cavo una voce simpatica, decisa ma gentile, mi chiese l’indirizzo del cantiere e mi diede un appuntamento. Dopo due giorni si presentò di fronte ai miei muri ignudi un tizio che si sarebbe potuto definire “un giovanotto settantino” con lunghi capelli e baffi bianchi, gli occhi vispi e divertiti, l’aspetto atletico. Era Gin Parodi.

Foto Ferruccio Jochler

Devo ancora capire adesso quale sia stata la magia, ma Gin Parodi decise da quel primo incontro che non era venuto a Sestri per dipingere una facciata ma per “costruirsi” un erede; ed io restai nella meravigliosa trappola.

Ne conseguì che la facciata di casa mia la dipinsi io istruita da lui che sembrava più uno stregone-maestro che un pittore. La mia casetta fu il laboratorio della mia iniziazione in qualità di decoratore.

Fu bellissimo per quello che imparai da lui da lì a dieci anni, in fatto di decorazione ma anche in fatto di “umanità”,  di gioia di vivere e perché no di spensieratezza, di quella spensieratezza che a lui la vita e l’esperienza avevano già insegnata e della quale io mancavo, forse un po’ per natura.

Abbiamo lavorato insieme per circa dieci anni; poi i suoi anni hanno cominciato ad essere più di ottanta, il mondo si è scatenato nel generare regole e limitazioni relativamente ai cantieri edili che hanno messo persone come lui fuori gioco. Ci sta! Nel frattempo nel mio mondo si sono materializzati gli allievi e pian piano io sono diventata la “maestra” e il mio maestro ha dovuto mettersi in pausa, ha ripreso tele e cavalletto e poi pian piano ci ha abbandonato. Con fierezza e il sorriso sotto i baffi!

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